I fili di lana e la paura del mare raccontano empaticamente le tante storie dei primi emigranti italiani.
Durante la grande migrazione, avvenuta a partire dal 1861, circa 9 milioni di italiani lasciarono il proprio paese diretti principalmente negli Stati Uniti, in Argentina e in Brasile. Il distacco dalla terra di origine e la paura del mare furono motivo di riti scaramantici e scambi epistolari di tenera memoria.
Un filo di lana serviva a conservare l’identità e il ricordo dell’Italia
Le famiglie degli emigranti si radunavano numerose nei pressi delle navi in partenza per salutare i propri cari che non sapevano se e quando avrebbero rivisto.
Di frequente chi si imbarcava portava con sé un gomitolo di lana affidandone un capo nelle mani di un parente.
La nave partiva e lentamente il gomitolo si srotolava, il filo si tendeva fino a rompersi per poi lasciarsi penzolare nel vuoto.
Da entrambe le parti si perdeva traccia di quella linea immaginaria ma ciò che restava nella mani di chi era partito sarebbe servito un giorno a consolidare un legame mai interrotto con le proprie radici.
La paura del mare e la vastità dell’oceano
I porti di partenza rappresentavano l’inizio di un viaggio lungo e incerto, pieno di speranze ma anche di timori.
L’oceano era il grande mostro che con le sue onde poteva travolgere ogni cosa e infrangere il sogno di una vita. Alessandro Baricco in Novecento descrive così, in poche righe, quel timore e certe emozioni
“Suonavamo perché l’Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire” (A. Baricco)
Mancanza di familiarità con la navigazione
Per molti emigranti provenienti da zone interne dell’Italia, il mare era un elemento completamente estraneo. L’idea di affrontare un viaggio in mare aperto poteva essere fonte di smarrimento, soprattutto per chi era abituato alla vita contadina, ai suoi ritmi e ai suoi riferimenti tangibili.
La lontananza dalla famiglia e dalla terra d’origine
Il mare rappresentava una barriera fisica e psicologica che separava gli emigranti dai loro cari e dalla loro terra d’origine. La vastità dell’oceano provocava un senso di isolamento e una perdita d’identità e soprattutto creava un vuoto oltre che reale anche simbolico e la partenza rappresentava un viaggio sia fisico che spirituale.
L’incertezza del futuro
La precarietà del momento e la paura dell’ignoto si scontravano con le certezze del passato; il prima e il dopo venivano percepiti pertanto come due realtà ben distinte.
Una volta imbarcatosi, l’emigrante era in balia di sentimenti contrastanti e sospeso tra la nostalgia di casa e la speranza di un futuro migliore.
L’importanza degli scambi epistolari tra emigranti e parenti
L’emigrante che lasciava l’Italia portava con sé valigie cariche di sogni e un cuore colmo di lacrime; dopo la partenza e una volta giunto a destinazione, le lettere rappresentavano l’unico collegamento tangibile con la propria famiglia.
Attraverso di esse, gli emigranti comunicavano le loro esperienze, le difficoltà incontrate, le speranze e le paure.
Racconti di vita quotidiana
Gli emigranti raccontavano delle loro condizioni di vita, del lavoro, della nuova società in cui erano inseriti. Descrivevano le città, le abitudini locali e le difficoltà linguistiche e culturali.
Le emozioni
Le lettere erano cariche di emozioni. La nostalgia per la patria, la famiglia e la comunità d’origine era un tema ricorrente. Gli emigranti esprimevano spesso sentimenti di solitudine e di rimpianto per la distanza, cercando allo stesso tempi di mitigare la nostalgia nella speranza di un ricongiungimento.
I progetti per il futuro
Molti emigranti condividevano i loro progetti per il futuro, inclusi i piani per far venire la famiglia all’estero o per ritornare in Italia dopo aver accumulato un certo risparmio.
Nel 1877 un emigrante originario del Veneto scriveva ai suoi fratelli incitandoli a raggiungerlo:
“Se facessi conto di venir qui con noi ti aspettiamo con ansietà per vedervi felici, perché oltre a quello che dissi sopra qui e posizione più sana che nei nostri paesi. Acqua e aria eccellente.[…] andate in libertà a godere dove siete esortati e questo basta perché parla il cuore e non la lingua”.
Queste lettere raccontano storie di speranza, sacrificio e resilienza, e costituiscono un patrimonio culturale di inestimabile valore e sono preziosa testimonianza storica e sociale del fenomeno migratorio che ha caratterizzato il nostro paese.
È interessante a tale proposito l’immenso lavoro di ricerca e archiviazione svolto dalla Fondazione Paolo Cresci e dal Museo Paolo Cresci per l’emigrazione italiana, nati con lo scopo di valorizzare la memoria dei nostri connazionali e raccontarne la storia attraverso diari, lettere, fotografie e documenti vari.
Sul loro sito è possibile fare ricerche mirate sul materiale da richiedere, sulla base del paese di destinazione, il tipo di documento e la regione di partenza.
È importante fare un salto indietro per rileggere una storia che si ripete in ogni parte del mondo e che serve da esempio per comprendere i motivi del perché certi fenomeni sono accaduti e che ricorrono anche oggi arricchendosi di nuovi significati.
“Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente, perché lì dove viveva non aveva niente, La sua unica motivazione è sopravvivere un o’ meglio di prima” (J. C. Izzo)
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